Legittimo il licenziamento nei confronti di un lavoratore gravato da precedenti penali specifici

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8944 del 29.03.2023, ha affermato che le condotte extralavorative di un dipendente possono giustificare il licenziamento dello stesso, laddove quest’ultime abbiano una ripercussione, seppur potenziale ma oggettiva, sull’efficienza del rapporto lavorativo, compromettendo le previsioni di un puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa futura.

Per meglio comprendere, le condotte extralavorative sono quei comportamenti del lavoratore che vengono compiuti al di fuori dell’ambito lavorativo, che però possono riversarsi irrimediabilmente sul presente rapporto di lavoro. I comportamenti di cui sopra, dunque, possono riguardare sia la vita privata del dipendente, sia antecedenti situazioni lavorative.

Spostando il focus sulla fattispecie oggetto di sentenza, quest’ultima riguarda una dipendente che ha impugnato giudizialmente il licenziamento irrogatole per aver omesso al datore di lavoro di essere stata destinataria di una condanna di carattere penale per truffa aggravata, ciò in relazione agli incarichi, ottenuti senza il necessario titolo, in un precedente rapporto lavorativo.

La Corte d’Appello, ritenendo la predetta condotta di gravità tale da compromettere il vincolo fiduciario, aveva rigettato il ricorso, dichiarando legittimo il licenziamento.

La Suprema Corte, con la sentenza sopramenzionata, ha confermato quanto stabilito dalla Corte d’Appello, affermando, preliminarmente, che la fiducia, fattore cardine per la sopravvivenza del rapporto di lavoro, può essere compromessa, non solo per via di specifici inadempimenti contrattuali, ma anche in ragione di condotte extralavorative che, seppur tenute al di fuori dell’impresa o dell’ufficio e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione, possono essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti.

Ribadendo quanto anticipato in precedenza, pertanto, per la sentenza della Corte di Cassazione, le condotte che possono assumere rilievo ai fini dell’integrazione della giusta causa di licenziamento fanno riferimento non solo alla vita privata in senso stretto, bensì a tutti gli ambiti nei quali si esplica la personalità del lavoratore e, soprattutto, non devono essere necessariamente successive all’instaurazione del rapporto.

Facciamo un esempio:
Poniamo il caso di un dipendente assunto da un’azienda operante nell’ambito della grande distribuzione, il quale è stato denunciato e poi condannato per furto durante un pregresso rapporto lavorativo nel medesimo settore.

Il dipendente, data la gravità della condotta e l’omogeneità dei contesti lavorativi, laddove omettesse al nuovo datore di lavoro il proprio pregiudizio e l’azienda venisse poi a conoscenza del fatto, quest’ultima (azienda) potrebbe decidere di licenziare il dipendente per giusta causa.
Secondo i Giudici di legittimità, dunque, risultano rilevanti anche le condotte tenute dal dipendente in occasione di altro rapporto di lavoro, soprattutto se, in virtù delle similitudini del contesto lavorativo e operativo, tali condotte potrebbero compromettere le previsioni di un puntuale adempimento lavorativo.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice e confermato la legittimità del recesso irrogatole.

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