Licenziamento legittimo del dirigente che non segnala alla datrice di lavoro la partecipazione della moglie ad attività economiche di una società concorrente

La Corte di Cassazione, tramite l’ordinanza n. 7712 del 16-03-2023, ha reputato legittimo il licenziamento di un dirigente per non aver segnalato la partecipazione della moglie in attività di società concorrenti e aver lui stesso avvantaggiato l’attività di tali società.

Nella fattispecie, la Corte d’Appello aveva premesso che al dirigente erano state contestate una pluralità di condotte sleali e infedeli alla base del recesso, in cui veniva ribadito che: “L’avere consentito la partecipazione di sua moglie nelle attività di società nostre concorrenti e l’avere lei stesso avvantaggiato l’attività della srl F.S., della srl A. e della srl H.S. approfittando del suo inserimento all’interno della nostra organizzazione imprenditoriale con il ruolo elevato fiduciario – di direttore tecnico e responsabile di regione – costituisce evidente gravissima violazione dell’art. 2105 c.c. aggravata dall’occultamento alla proprietà ed al Consiglio di Amministrazione della sopra descritta situazione di conflitto di interessi che coinvolgeva anche l’operato del precedente amministratore. Ugualmente infedele ed in contrasto con il dovere di diligenza è l’indebita percezione di buoni pasto per cifre assai elevate prive di causale da lei perpetrata almeno dall’anno 2015 e sino ad oggi”.

Si precisa che la Corte di merito circoscriveva l’esame degli addebiti ai fenomeni che avevano direttamente coinvolto il dirigente in interessi di altre società, comprovando l’oggettività del comportamento sleale, contrario al principio di fedeltà, nonchè rilevando una gravità tale da ledere il vincolo fiduciario. La Corte ha altresì respinto l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare, avendo la società avuto contezza di episodi ben più gravi rispetto alla mera partecipazione della consorte a società concernenti, ciò anche grazie alle verifiche espletate da un’agenzia investigativa.

Il dipendente proponeva ricorso per cassazione affidato a 6 motivi:
– per avere la Corte di merito ritenuto legittimo il recesso sulla base di una valutazione complessiva della condotta, omettendo la puntuale sussistenza delle specifiche condotte contestate;
– la tardività della contestazione disciplinare (novembre 2016), secondo cui la datrice di lavoro fosse già a conoscenza, dal 2015, della partecipazione della moglie alla società F.S. srl;
– l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: si ribadisce l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare sul rilievo che già nel febbraio 2015 la società datoriale fosse a conoscenza della partecipazione della moglie alla società concorrente di cui sopra, a nulla rilevando la circostanza della dismissione delle quote societarie in data 19.02.2015, ossia il giorno prima della richiesta di accesso agli atti (20.02.2015);

– per aver la Corte di merito considerato elemento di prova, secondo cui la moglie avesse un conto corrente cointestato con un esponente della suddetta società concorrente (F.S. srl), la relazione redatta dalla società investigativa; – per aver la Corte di merito escluso la riconducibilità dell’addebito alla sanzione conservativa la condotta di chi “esegua con negligenza grave il lavoro affidatogli; ometta parzialmente di eseguire il servizio assegnato; non avverta subito superiori di eventuali irregolarità nell’adempimento del servizio”;

– per non aver considerato sproporzionato il licenziamento in ragione della mancata prova di una serie di condotte contestate, fra cui: la rivelazione alla società concorrente sopramenzionata dell’offerta economica per la partecipazione al bando di gara della Regione Campania, gli interessi nelle altre società concorrenti sopracitate, l’abuso di buoni pasto, nonché le inadempienze nella gestione di un appalto e lo svolgimento di attività lavorativa presso un’altra società sopracitata durante la malattia.

Ebbene, la Corte riteneva infondati e\o inammissibili i suddetti motivi di ricorso. Nel caso di specie, a fronte della contestazione di plurime e autonome condotte di rilievo disciplinare, che “anche singolarmente considerate” costituiscono una gravissima violazione dei doveri di diligenza e fedeltà, il giudice può prendere in esame solo alcune di esse, quelle connotate da maggiore gravità e reputarle esaustive ai fini dell’integrazione della giusta causa di recesso.

Oltre a ciò, si premette che il principio di immediatezza della contestazione disciplinare, elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro ed espressione del generale precetto di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro, ha carattere relativo, potendo, nei casi concreti, esser compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti, specie quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di atti convergenti in un’unica condotta e implichi, pertanto, una valutazione globale ed unitaria, o quando la complessità dell’organizzazione aziendale e della relativa scala gerarchica comportino la mancanza di un diretto contatto del dipendente con la persona titolare dell’organo abilitato ad esprimere la volontà imprenditoriale di recedere, sicché risultano ritardati i tempi di percezione e di accertamento dei fatti e, quindi, di adozione dei relativi provvedimenti, pur restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo.

Nel caso di specie, la Corte di merito nel respingere l’eccezione di tardività della contestazione, ha rilevato come il dato in sé della partecipazione societaria della moglie del dipendente nella società concorrente, acquisito nel febbraio 2015, non fosse da solo sufficiente a fondare la contestazione, considerato poi che proprio nel mese di febbraio (esattamente il giorno prima della richiesta di accesso agli atti della gara d’appalto presso la Regione) vi era stata la dismissione delle citate quote, avendo la società acquisito i dati relativi alla condotta del proprio dipendente solo nel novembre 2016, all’esito delle indagini svolte sulla base di una confessione.

In merito al quarto motivo di ricorso, la Corte ribadiva che il motivo in esame investiva, non un fatto inteso in senso storico ed avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili di valutazione, come appunto una relazione investigativa rientrante tra le prove atipiche, di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, considerato che nell’ordinamento processuale vigente manca altresì una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova. In conclusione, la parte ricorrente non sottoponeva a Cassazione errori di diritto imputabili ai giudici di merito nell’applicazione dei paradigmi normativi di giusta causa e di proporzionalità del licenziamento, ma pretendeva soltanto una diversa valutazione dei dati probatori raccolti al fine di ottenere un esito diverso della lite.

Per le ragioni di cui sopra, il ricorso doveva essere respinto.

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