Il Niger

Dopo Mali, Burkina Faso e Guinea, è la volta del Niger, ulteriore paese del Sahel vittima di un golpe militare.

Mercoledì 26 luglio 2023, il Presidente Mohamed Bazoum, eletto democraticamente con il 55,67% dei voti nella primavera del 2021, è stato destituito (e poi “preso in custodia”) con un colpo di stato dal generale Abdourahamane Tchiani, capo delle Guardie Presidenziali, autoproclamandosi contestualmente Presidente del “Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (Cnsp)”.

L’Unione Europea e il Presidente americano Biden hanno richiesto l’immediato rilascio del Presidente Bazoum, richiesta alla quale il leader della giunta militare golpista ha risposto affermando che non cederanno ad alcun tipo di pressione né regionale, né internazionale. A tal proposito, il 30\07\2023 nel vertice tenutosi ad Abuja (Nigeria), l’ECOWAS (Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale) ha lanciato un ultimatum alla giunta militare nigerina, con una scadenza di una settimana, per il rilascio immediato del Presidente Bazoum e per la sua reintegrazione al potere.

L’ECOWAS ha poi annunciato la “sospensione di tutte le transazioni commerciali e finanziarie tra gli Stati membri dell’ECOWAS e il Niger”, paese che fa parte del blocco, nonché l’interruzione delle transazioni energetiche, imponendo altresì un “divieto di viaggio e congelamento dei beni per i funzionari militari coinvolti nel tentativo di colpo di stato”.

Tuttavia, l’unità d’intenti dell’ECOWAS si è presto frammentata: inizialmente sembrava che tutti i leader dell’Africa occidentale condannassero il putsch militare, ma Stati quali Mali, Burkina Faso e Guinea hanno radicalmente rivisto la loro posizione, minacciando ritorsioni in caso di un intervento militare esterno in Niger. Non è mancata, poi, la risposta del generale Tchiani che ha definito le sanzioni imposte dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) “illegali, ingiuste e disumane”.

Non è mancata altresì la risposta del Presidente dell’ex Paese colonizzatore del Niger, questo resosi indipendente nel 1960, Emmanuel Macron (Presidente Repubblica Francese): “Questo colpo di stato è illegittimo e molto pericoloso per il Niger e per l’intera regione. Per questo, chiediamo la liberazione del presidente Bazoum e il ripristino dell’ordine costituzionale”.

Intanto, la giunta militare golpista nigerina ha annunciato la decisione di mettere fine agli accordi militari con la Francia: le intese prevedevano lo stazionamento nel Paese africano di circa 1.500 soldati, con l’intento di partecipare alla lotta contro i gruppi jihadisti attivi nel Sahel. Washington resta ancora riluttante al ritiro delle proprie unità, ciò a fronte della crescente influenza russa del Gruppo Wagner, dilagante dalla Repubblica Centrafricana al Mali, passando per Burkina Faso e Sudan.

Le nuove autorità di Niamey hanno poi annunciato il ritiro degli ambasciatori da 4 Paesi: la Francia, gli Stati Uniti, il Togo e la vicina Nigeria. Quest’ultimo è il Paese guida della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), la cui delegazione diplomatica è arrivata in Niger per cercare una soluzione negoziata alla crisi, ripartendo però senza nulla di fatto, essendo venuto meno l’incontro con il generale Tchiani e con il presidente deposto Mohamed Bazoum.

Il Presidente Bazoum, ancora sequestrato dai militari nel palazzo presidenziale della capitale Niamey, ha affermato sul quotidiano americano “Washington Post”: “Il Niger è sotto attacco da parte di una giunta militare che sta cercando di rovesciare la nostra democrazia, e io sono solo uno delle centinaia di cittadini che sono stati arbitrariamente e illegalmente imprigionati. I golpisti affermano falsamente di aver agito per proteggere la sicurezza del Niger. Affermano che la nostra guerra contro i terroristi jihadisti sta fallendo e che il mio governo economico e sociale, comprese le partnership con gli Stati Uniti e l’Europa, ha danneggiato il nostro Paese”.

Seppur resta prematuro e difficile fare pronostici, è indubbia la crescente apprensione in Europa della crisi in atto, in primis per la gestione dei flussi migratori (irregolari) verso l’Africa del Nord e la costante minaccia jihadista, nonchè per la fornitura di uranio. Il Niger è, o meglio era, uno dei pochi paesi dell’area governati da un presidente “filo-occidentale”, quindi una speranza per l’UE e l’Occidente per il contrasto al jihadismo e la gestione dei migranti sia in Africa che nel Mediterraneo.

In merito all’uranio, si ricordi che il Niger è il 7° produttore mondiale di questo metallo radioattivo necessario per alimentare le centrali nucleari, e oggi copre oltre il 25% del fabbisogno europeo. Le principali miniere di uranio sono tre, solo una attiva, tutte gestite dalla società francese di combustili nucleari Orano, i cui dipendenti sono per la maggior parte di nazionalità nigerina. Dopo il colpo di Stato, nel Paese è iniziato ad emergere un forte sentimento antioccidentale. Ad oggi, le società francesi continuano a lavorare regolarmente in Niger, e, in teoria, un eventuale blocco delle esportazioni di uranio da parte della nuova leadership nigerina non dovrebbe mettere in difficoltà l’industria nucleare europea, ciò grazie alle scorte e alla pluralità di fornitori, seppur il suo venir meno rappresenterebbe, di certo, una perdita ingente per gli affari parigini.

Anche l’EURATOM, l’Agenzia europea per l’energia nucleare, ha dichiarato di non vedere “alcun rischio immediato” per la produzione di energia nucleare in Europa, nel caso in cui il Niger dovesse tagliare le sue forniture di uranio, in quanto i servizi pubblici europei hanno scorte di uranio sufficienti per tre anni.

Il Niger produce il 4% della fornitura globale di uranio ed è stato il secondo maggior fornitore di uranio naturale all’Ue lo scorso anno (2022), dopo il Kazakhstan. Ecco perché l’industria dell’uranio nigerina potrebbe, comunque, subire un impatto sulle proprie finanze pubbliche, dal momento che metà delle sue esportazioni sono di fatto destinate alla Francia e all’Unione Europea.

Attualmente, quindi, il settore nucleare non è stato sottoposto a sanzioni: un’industria in cui gli interessi sono talmente interconnessi, da sopravvivere, almeno “nel breve periodo”, ai colpi di Stato.
Tuttavia, resta comunque fondamentale monitorare eventuali cambiamenti di scenario, questo perché incertezze circa l’approvvigionamento di uranio è un rischio troppo grande da assumersi per i protagonisti di tale settore commerciale, in cui la strategia, le previsioni e gli eventuali cambi di rotta potrebbero inficiare le sorti di un intero sistema economico.